Mass Media e Criminalità

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA

Facoltà di Giurisprudenza
Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Corso di Criminologia a.a. 2008/09

Università degli Studi di Pavia

Relatore: Chiar.ma Prof. Silvia LARIZZA

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Mass Media e Criminalità

Mass media e criminalità – Slides

Premesse

L’intento di questo lavoro è di analizzare l’intricato rapporto tra criminalità e mass media alla luce di una prospettiva problematica. Punto di partenza è il risultato di una domanda oggetto di una ricerca criminologica posta a 117 studenti di Giurisprudenza dell’Università di Pavia, ai quali è stata chiesta un’“Opinione generale in merito all’informazione di massa”. Il dato veramente interessante è che, a parte un 6% e un 3% che ritengono i mass media rispettivamente indifferenti e inutili, si riscontra una perfetta parità tra coloro che hanno evidenziato l’utilità e la pericolosità di essi (45% per entrambe le risposte). Emerge, dunque, chiaramente questo asserto: mezzi d’informazione come utili e/o pericolosi. Su entrambi questi punti si potrebbero analizzare svariati aspetti, ma qui ci soffermeremo solo sull’utilità quale prevenzione e sulla pericolosità quale aumento dell’allarme sociale.

1. Mass media e prevenzione ciminologica[1]

Analizziamo quindi, innanzitutto il tema della prevenzione del crimine attraverso i mezzi d’informazione. Si pongono subito alcune domande: possono essi risultare utili? E in che modo? Quali risultati possono produrre? Questi risultati sono generalizzabili oppure legati a particolari contesti sociali, giuridici o culturali?

1.1

Vanno innanzitutto identificati alcuni prerequisiti necessari affinché i mass media possano esercitare un’effettiva forza preventiva. Occorre una diffusa esposizione del mezzo di comunicazione al pubblico, per creare un’adeguata coscienza civile e lo sviluppo di un ambiente recettivo; che i destinatari percepiscano come rilevante il problema; che i temi propagandati non siano contraddetti o messi in discussione da altre fonti d’informazione; che la campagna si prefigga scopi realistici e che vengano ben delineati i nuclei centrali, senza alimentare progetti miracolistici.

1.2

Vediamo ora quali sono le forme che sono state assunte in positivo allo scopo di attuare una concreta prevenzione attraverso i media. Tratteremo due delle forme nelle quali il criminologo Steven Lab[2] suddivide i vari interventi di prevenzione ad opera dei media susseguitisi in concreto. Il primo modello è quello inteso a raggiungere in generale un pubblico indifferenziato; il secondo mira invece a coinvolgere i cittadini nell’opera d’informazione sui crimini venuti a loro conoscenza. Informare sul crimine, ridurre l’allarme sociale, promuovere la prevenzione e indurre una riduzione del livello di criminalità sono gli ambiziosi scopi prefissi; di seguito illustreremo tre esempi di prevenzione: la campagna “Taking a Bite Out of the Crime”, le “Information Lines” e le “Crime Time Television”.

1.3

Taking a Bite Out of the Crime” è una campagna d’informazione pubblica condotta negli Stati Uniti d’America verso la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80 nella quale vennero investiti oltre 100 milioni di dollari. Con l’uso di un cartone animato con protagonista il cane McGruff, divenuto personaggio molto celebre, vennero presentate diverse serie di delitti simulati, sottolineando i comportamenti che gli spettatori avrebbero dovuto tenere in analoghe situazioni, al fine di mutare l’atteggiamento del pubblico verso il crimine e verso il sistema di giustizia penale, cercando di coinvolgerlo nell’opera di prevenzione e di responsabilizzarlo. Da una ricerca condotta in ambito nazionale[3] emerse che alcuni scopi prefissati furono raggiunti, ma con risultati alterni. L’audience fu molto alta, intorno al 50%, ma sul 77% degli intervistati che avevano visto il programma, solo il 3% ricordava i messaggi senza l’aiuto dell’intervistatore, il 22% riteneva di aver imparato qualcosa di nuovo, il 50% si era sentito responsabilizzato nella prevenzione e il 25% era stato indotto a prendere precauzioni. Emersero anche altri dati più scoraggianti: nel 22% dei soggetti era aumentata la paura del crimine, solo alcune cautele erano state recepite e la modalità di recezione variava a seconda del sesso, del reddito e della storia personale dei soggetti (furono più recettivi gli uomini, gli individui ad alto reddito, coloro che erano già esposti al rischio e che erano già in precedenza interessati alla prevenzione). Campagne simili furono intraprese in Canada, in Olanda, in Inghilterra per sensibilizzare sul tema dei furti d’auto e del vandalismo giovanile e in Israele per combattere le rapine.

1.3.1

Raccogliendo i risultati di tutte queste esperienze, il Professor Lab ha sintetizzato alcune considerazioni conclusive. Innanzitutto i mass media sono in grado di mutare il livello sia di paura del crimine sia della criminalità rilevata; si dovrebbe provare a raggiungere non solo gli ascoltatori interessati, ma anche gli altri; è necessario porsi degli obiettivi realistici; occorre dare suggerimenti precisi e le informazioni devono essere esplicite e non generare paura.

1.4

Le “Information Lines” sono l’esempio più concreto di mass media nella prevenzione del crimine e di appello agli spettatori perché possano collaborare, seppur a pagamento, alle indagini della polizia. La forma di “Information Lines” che ha riscosso maggior successo è il “Crime Stoppers”. Questo modello si caratterizza dalla presentazione in televisione dei crimini che non vengono risolti, affinché il pubblico superi la propria apatia o paura e dia informazione (in maniera retribuita e, naturalmente, riservata) di ciò che può essere utile alla risoluzione del caso; se, come conseguenza della notizia, si perviene all’arresto, viene garantita all’autore della segnalazione una ricompensa da 100 a 1.000 dollari. Si sono così raggiunti importanti risultati come la risoluzione di 213.000 felonies, l’arresto di 43.000 colpevoli e un bilancio economico positivo dell’operazione. Problema di fondo è però quello dell’eticità sociale di questi programmi, potenzialmente idonei a incoraggiare la sfiducia tra vicini e a scoraggiare una disinteressata e non ricompensata partecipazione dei cittadini alle proprie responsabilità verso la comunità.

 1.5

Infine, si definiscono “Crime Time Television” quei programmi che evocano e descrivono crimini non chiariti. In Italia possiamo limitarci all’esempio di “Chi l’ha visto?”, mentre più emblematico è il format statunitense “America’s Most Wanted”, che dei 125 ricercati andati in onda è riuscito ad assicurane alla giustizia ben 79 (anche se resta incerto il rapporto causale tra programma tv e incarcerazione). Anche questo modello presenta però degli aspetti negativi, quale il pregiudizio che potrebbe influenzare i futuri giurati nel corso del processo o l’imitazione di efferati crimini o l’iniziativa di giustizieri privati.

 2. Pericolosità dei mass media

Anche dal punto di vista della pericolosità dei mass media i profili da analizzare sarebbero molteplici e tutti dotati di interesse. Non ci soffermeremo però sull’effetto criminogeno che possono creare i mezzi d’informazione, ma tratteremo del loro potere di distorcere la realtà e di aumentare l’allarme sociale e il senso di sicurezza dei cittadini. È emerso, infatti, un andamento parallelo tra la paura del crimine e l’esposizione del soggetto all’informazione relativa a esso[4], mentre, al contrario, si è riscontrato che, dove la stampa dedicava meno spazio agli avvenimenti delittuosi, la preoccupazione dei consociati nei confronti della criminalità appariva meno significativa[5]. Questi rilievi hanno così portato a far apparire norme in senso retributivistico e restrittivo (ad esempio in relazione alle misure premiali) come giuste risposte alle richieste dei cittadini.

2.1

A proposito di misure premiali, è faro del rapporto tra media e allarme sociale una ricerca svolta dai criminologi Ernesto Calvanese e Raffaele Bianchetti[6]. Si è presa in considerazione la pubblicistica, nell’arco di un periodo di ventisei anni (1976-2001), relativa alla fase esecutiva della pena edita su tre testate di rilevanza nazionale: il Corriere della Sera, La Repubblica e il Giornale. In particolare si sono esaminati gli articoli sulle opinioni circa la funzione risocializzativa della pena, su quelle inerenti i soggetti protagonisti di fallimenti di misure premiali e sulle valutazioni riguardo la Magistratura di Sorveglianza. Nell’intervallo di tempo analizzato, il Corriere della Sera ha pubblicato 315 articoli, La Repubblica 287 e il Giornale 195; tutte e tre le testate hanno registrato dei picchi d’interesse nei momenti in cui si sono verificati singoli casi di fallimento di misure premiali, suscitando così una risposta mediatica spettacolarizzata e drammatizzata, indirizzata oltretutto verso la duplice prospettiva de iure condito e de iure condendo.

2.1.1

Per quanto riguarda la valutazione sulla funzione risocializzativa della pena, mentre prevale un atteggiamento sfavorevole e comune del Corriere della Sera (65,75% degli articoli) e de La Repubblica (62,04%), è da segnalare un atteggiamento decisamente più negativo ne il Giornale (70,84%).  Inutilità del trattamento, rottura del patto di fiducia, eccessiva permissività delle leggi, necessità di leggi più restrittive, sono questi i messaggi prevalenti che appaiono sui tre quotidiani. Circa la valutazione sui soggetti protagonisti di fallimenti di misure preventive, si riscontra l’utilizzo di qualificazioni negative quali “recidivi”, “approfittatori”, “indegni di fiducia”, “irrecuperabili”. Anche la Magistratura di Sorveglianza è valutata con toni decisamente sfavorevoli: “giudici che sbagliano”, “giudici che aprono le porte del carcere”, “giudici anomali”. Pure per questi due ultimi rilievi si registra un atteggiamento caratterizzato da maggior negatività sulle pagine de il Giornale. Un’ultima osservazione si trae dall’analisi sul tono di questi articoli; soltanto, infatti, un ridotto numero di articoli tratta l’argomento in maniera razionale e costruttiva (tono critico-costruttivo), una parte maggiore di questi adotta un’impostazione referenziale, neutrale e fredda (tono indifferente), mentre la maggior parte dei pezzi è caratterizzata da un eccesso di carica emotiva, da un’incentivazione dell’allarme sociale e da spettacolarizzazione delle notizie (tono critico-distruttivo), così da diffondere nell’opinione pubblica un atteggiamento negativo coinvolgente l’intera prospettiva risocializzativa della pena.

Valutazione sulla funzione risocializzativa della pena

Testata Giornalistica Valutazione positiva Valutazione negativa
Corriere della Sera

34,25%

65,75%

La Repubblica

37,96%

62,04%

il Giornale

29,16%

70,84%

 1

  Valutazione sui soggetti protagonisti di fallimenti di misure preventive

Testata Giornalistica Valutazione positiva Valutazione negativa
Corriere della Sera

26,51%

73,49%

La Repubblica

27,34%

72,66%

il Giornale

12,85%

87,15%

 2 

Valutazione sulla Magistratura di Sorveglianza

Testata Giornalistica Valutazione positiva Valutazione negativa
Corriere della Sera

28,88%

71,12%

La Repubblica

36,37%

63,63%

il Giornale

20,68%

79,32%

 3

Tono degli articoli

Corriere della sera

Critico-costruttivo

88

27,94

%
Critico-negativo

112

35,56

%
Indifferente

115

36,51

%
Totale

315

 4

La Repubblica

Critico-costruttivo

103

35,89

%
Critico-negativo

72

25,09

%
Indifferente

112

39,02

%
Totale

287

 5

il Giornale

Critico-costruttivo

34

17,44

%
Critico-negativo

71

36,41

%
Indifferente

90

46,15

%
Totale

195

 6                 

2.2 Mass media e allarme sociale: dati di una ricerca

Per dimostrare il rapporto tra mezzi di comunicazione, potere d’influenzamento e allarme sociale al fine di sondare l‘opinione di alcune componenti del corpo sociale, i criminologi Ernesto Calvanese e Raffaele Bianchetti hanno svolto una specifica ricerca[7], sottoponendo un a un questionario un gruppo di 75 soggetti (25 impiegati, 25 operai e 25 insegnanti). Il questionario è diviso in tre parti: la prima concernente le caratteristiche personali dell’intervistato, la seconda riguarda la percezione sociale della comunicazione mediatica e del suo potere d’influenzamento, la terza indirizzata all’area di pertinenza criminologica. Come si può facilmente constatare, il campione preso ad oggetto dai due sopraccitati autori è imparziale, in quanto in linea di principio slegato sia da informazioni strettamente attinenti i mezzi di comunicazione di massa, sia il diritto e in particolare il diritto penale. Mi è parso interessante porre i quesiti di questa ricerca a un pubblico parziale e così ho raccolto i risultati di 117 studenti di Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Pavia (tutti tendenzialmente già eruditi in diritto penale) e di 30 giornalisti de “Il Cittadino”, quotidiano del lodigiano e del sud-milanese e de “La Provincia Pavese”. Per quanto concerne le modalità d’esposizione della ricerca, in un primo momento paragoneremo semplicemente i dati, per poi trarre alcune determinazioni mettendoli in relazione tra loro.

2.2.1 Parte I

Relative alla persona dell’intervistato sono le prime tre domande (sesso, luogo di nascita e orientamento politico) per riuscire a comprendere il campione preso in esame. Sia tra gli studenti che tra i giornalisti si riscontra una prevalente presenza maschile: 75 studenti contro 42 studentesse, 24 giornalisti contro 6 giornaliste. 102 futuri giuristi provengono dall’Italia settentrionale, 11 dal meridione, 1 dal centro e 3 dall’estero, mentre tra gli addetti ai mass media si ha solo 1 soggetto proveniente dal centro Italia e 29 dal nord. 43 studenti di destra, 28 di sinistra, 11 di centro e 35 che non hanno espresso alcuna preferenza, sono i risultati degli studenti in merito al loro orientamento politico. Abbiamo invece 11 giornalisti di sinistra, 4 di destra, 2 di centro e 13 “astenuti”.

2.2.2 Parte II

Ci siamo già soffermati sul risultato del quesito riguardante l’opinione generale sull’informazione di massa per gli studenti; di diverso avviso sono, per loro “natura” i giornalisti: per 20 soggetti i mass media sono utili, per 9 sono pericolosi e per 1 sono indifferenti. Dati più vicini sono invece quelli rilevati in merito alla domanda sulla qualità dei media: solo una piccola percentuale sia di studenti (5), che di giornalisti (2) sostiene che essa sia sufficiente. Per 49 studenti è spettacolarizzata, per 34 è incompleta, per 16 è superficiale, per 12 è drammatizzata e per 1 è eccessiva. 12 giornalisti sostengono che sia spettacolarizzata, 6 drammatizzata e superficiale, 3 incompleta e 1 eccessiva. Nessun giornalista e solo 3 studenti ritengono i media liberi da condizionamenti, mentre per la natura di essi, ben 64 studenti sostengono che siano di carattere politico, solo la minoranza sostiene che siano di carattere economico (33) e derivanti dalla faziosità dei media (19). I giornalisti vedono invece in pari misura interessi politici e di mercato come determinanti (13), mentre una minoranza ascrive la faziosità come caratterizzante. Irrilevante l’unica risposta, di uno studente, su tutto il campione che sostiene l’incapacità dell’informazione di influenzare l’opinione pubblica. Tra gli studenti vi è una sostanziale parità tra chi sostiene che sia la passività degli utenti (54) e il potere dei media (53) il motivo di questo influenzamento, mentre passano in secondo livello gli interessi politici (8) e di mercato (1). I giornalisti vedono più nel “loro” potere invece questa ratio (15), in misura minore la passività dei riceventi (10) e solo in maniera marginale interessi di mercato (4) o politici (1). La televisione è vista da entrambi i campioni come il mezzo d’informazione più efficace (68 studenti/22 giornalisti), seguono internet (29/4) e la stampa (18/4) per gli universitari, distaccata è invece la radio (1/0). Il motivo è da intravedersi nella diffusione (58/14) e approfondimento maggiore (30/10), ma anche per la comodità nell’uso (27/6).

2.2.3 Parte III

La terza e ultima parte è quella di più stretta attinenza criminologica e che si occupa di comprendere più a fondo lo stretto legame esistente tra l’allarme sociale e il potere dei mass media. Lascia perlomeno sorpresi la risposta data dagli studenti sulla loro fonte di conoscenza in materia di fatti criminosi, delinquenza, pene e giustizia. Nonostante il campione sia formato da studenti universitari che hanno già frequentato il corso di Diritto Penale, soltanto un ridottissimo numero ha cura di conoscere questi temi tramite saggi e foni scientifiche (14). Il restante numero preferisce trarre notizie da televisione (60), stampa (36) e internet (6). Più attenti alla carta stampata i giornalisti (19), che traggono in minor misura conoscenze dalla televisione (5), da fonti scientifiche (3) e da internet (1). Per quanto concerne le linee di tendenza seguite dai media nel presentare il fenomeno criminalità, il più dei discendi sostiene che queste vengano tracciate nel segno della drammatizzazione (43) e della creazione di pregiudizi (27). Tendenzialmente concordi i due campioni sul nesso di causalità tra l’informazione in tema di criminalità e l’aumento dell’allarme e dell’insicurezza sociale: solo 13 studenti e 4 giornalisti sostengono il contrario. Gli studenti che hanno risposto affermativamente intravedono nella passività (39), nella drammatizzazione (28) e nella finalizzazione all’aumento dell’allarme sociale (20) i motivi del succitato nesso; meno numerose le risposte vertenti sull’amplificazione dei fatti (13) e sulla superficialità (4). I giornalisti invece, focalizzano i loro responsi più sulla drammatizzazione (10) e sulla finalizzazione all’aumento della paura (8), mentre restano in minoranza quelli relativi alla passività (4), alla amplificazione dei fatti (3) e alla superficialità (1). I pochi universitari che hanno invece sostenuto insussistente il rapporto tra informazione e allarme sociale, sostengono che ciò sia connesso a una manipolazione delle notizie (6), all’utilità dell’allarme sociale (5) o infine alla veridicità dell’informazione (1). Difficile fare paragoni tra con numeri così esigui e i risultati emersi dalle interviste ai giornalisti sono citate solo per dovere di cronaca: veridicità delle informazioni (2), utilità dell’allarme sociale (2) e manipolazione delle notizie (1) le risposte. Molto caratterizzante la questione successiva: si sottolinea da parte dei media un aumento degli omicidi, mentre il tasso di questo reato appare, negli ultimi anni, nelle relazioni statistiche ufficiali, in progressivo calo. Per gli studenti, la causa prima di questo fenomeno è l’eccessiva amplificazione dei fatti (70), seguita dalla manipolazione delle notizie (31), mentre meno rilevanti le risposte circa gli interessi politici (11), di mercato (4) o l’erroneità dei dati ufficiali (1). Anche i giornalisti intravedono come primo motivo l’amplificazione eccessiva dei fatti (17); molto più staccate interessi politici (7), di mercato (3) e la manipolazione delle notizie (2).


[1] PORTIGLIATTI BARBOS M., Mass media e prevenzione criminologica in Rassegna italiana di Criminologia, 1998.

[2] LAB S. P., Crime Prevention: approaches, pratices and evaluations, 1988.

[3] O’KEEFE G. J., MENDELSON H., Taking a Bite Out of the Crime: the Impact of a Mass Media Crime Prevention Campaign, 1984.

[4] VAN DIJK J. J. M.

[5] PEYREFITTE A.

[6] CALVANESE E. e BIANCHETTI R., Messaggi mediatici, funzioni della pena e senso di sicurezza dei cittadini in Sociologia del Diritto, 2003.

[7] CALVANESE E. e BIANCHETTI R., Messaggi mediatici, funzioni della pena e senso di sicurezza dei cittadini in Sociologia del Diritto, 2003.